uscire con un piatto fra le mani, con la bavaglia al collo, e camminare per la via fino a quella panchetta, spettinata e con i piedi nudi.
Là, su quel fantastico sedile di pietra ho inziato ad osservare le persone che passavano e i loro volti, il modo di camminare…così, per ingannare il tempo; li imitavo e mi divertivo, mi immaginavo delle cose sulle loro vite, davoa loro una storia nella quale potessero vivere, diventavano miei personaggi. Ogni tanto qualche persona si fermava a guardarmi e sorrideva. Un giorno una signora mi chiese:” che fai…reciti?”
E io risposi: ” No, mi diverto! Vuoi provare?”
Quello era per me il più bel gioco del mondo!
Poi, tornata a casa, ripetevo quella smorfia o quel sorriso che si erano stampati nella mente, come fotografie. Costringevo mio padre e mia madre a ripetere le azioni di quei personaggi e loro stavano sempre al mio gioco.
così ho trascorso le più belle ore della mia infanzia.
mi ritrovavo così a ridere, rattristarmi, fare scenate assurde solo per liberarmi da emozioni soffocate. Iniziava così il mio cammino nel teatro, quell’archivio di emozioni, colori, odori, fantasie che mi avrebbero aiutata ad ingannare momenti di solitudine, di sconforto, di grande delusione verso i miei simili e la società nella quale vivo.
prendeva forma quel mondo, il mio teatrino personale, nel quale ancora oggi trovo ancora di salvezza e di allegria in questa vita sovente noiosa e rigida. Oggi, insegno recitazione, scrivo commedie, lavoro come organizzatrice dei miei spettacoli, recito e faccio regia a modo mio, senza troppe scuole alle spalle ma con un bagaglio di ricordi ed emozioni che consulto quotidianamente. Spesso mi siedo da qualche parte, con un piatto fra le mani a guardare….”