Storia di Luigi Pirandello, adattamento teatrale di Miriana Ronchetti iscritta come autrice alla SIAE con posizione autore 95069
Durata circa 60’
Personaggi : 14 ( adattabile)
Trama
Scritto e pubblicato nel 1926 è l’ultimo romanzo di Pirandello. Riprende temi affrontati ne Il fu Mattia Pascal e come questo è ambientato in una piccola provincia.
Vitangelo Moscarda, dalla banale constatazione che il naso che egli crede di avere è diverso da quello che sua moglie gli riconosce, parte per un viaggio dentro e fuori di sé che lo conduce ad una riflessione sull’intera esistenza e alla follia. Vitangelo si rende conto che gli altri lo vedono in una maniera diversa da come lui stesso crede di essere. Non esiste solo un Vitangelo Moscarda, ma ne esistono tanti quanti sono gli esseri umani con i quali stabilisce anche una minima e fugace relazione. Non esiste un io autentico e oggettivo. Scoprire di non essere per gli altri quell’Uno che crede di essere per sé accende in lui il desiderio di distruggere queste forme a lui estranee per scoprire il vero sé. Tenta di distruggere le errate convinzioni della gente, a cominciare da quelle della moglie. Ma Vitangelo si conosce per quello che è? Qual è la sua vera essenza?
Il protagonista passa dall’essere unico per tutti alla propria concezione del nulla attraverso la consapevolezza dei centomila che gli altri gli riconoscono. La realtà non è oggettiva, ma si perde in un vortice di relativismo.
Pirandello riprende in questa storia i temi della formazione dell’identità, del conflitto tra essere e apparire, della maschera sociale, della prigione delle convenzioni sociali in cui l’uomo è costretto con la sua ineguagliata spigliatezza, con lo svago e l’umorismo caratteristici di tutta la sua produzione letteraria alla cui base vi sono una acutezza intellettuale e una minuziosità dell’analisi interiore a dir poco geniali.
Questa storia vi farà riflettere sulla mutevole realtà delle percezioni, su come noi percepiamo chi ci circonda e su come chi ci circonda percepisce la nostra essenza. Avremo modo di capire quanto siano erronee e preconcette certe convinzioni e false molte convenzioni.
Un capolavoro indiscusso della letteratura del Novecento…
ANTEPRIMA : UNO NESSUNO CENTOMILA
Scena buia. Entrano uno alla volta i personaggi e si dispongono sul palco mostrando il profilo al pubblico (come se si stessero specchiando) tranne la moglie:
Roberto, Isabel, Laura, Emanuela, Stefania
Musica. Entra la moglie
MOGLIE Che fai?
CORO Niente. Mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo avverto un certo dolorino
MOGLIE Credevo ti guardassi da che parte di pende
CORO (insieme e lentamente si voltano verso il pubblico) Mi pende? A me? Il naso?
MOGLIE Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra
LETTORE F.C. Avevo 28 anni e sempre fin allora avevo ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente come insieme tutte le altre parti della mia persona. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo
2° LETTORE Ma cos’altro vide mia moglie?
1° LETTORE Eh, altro! Altro! Le mie sopracciglia parevano su gli occhi due accenti circonflessi, le mie orecchie erano attaccate male e altri difetti…
CORO Ancora??
2° LETTORE Eh sì, ancora! Nelle mani, al dito mignolo, nelle gambe, verso il ginocchio. Dopo un attento esame dovetti riconoscere veri questi difetti
MOGLIE Ma non affliggerti poi tanto, caro, perché tutto sommato rimani un bell’uomo
CORO (in tono velenoso, tutti in coro) Grazie…
E si girano, tranne Mostarda
MOSCARDA E dovevo aspettare di prendere moglie per scoprire che li avevo tutti, questi difetti…già, le mogli! Che meraviglia! Fatte apposta per scoprire i difetti del marito. Vorrei conoscere la loro coscienza.
LA COSCIENZA (come se nessuno la vedesse viene sul proscenio) Ci risiamo…mi tirano sempre in ballo…ci vuole coscienza…chissà dove hanno la coscienza… Signori miei, scusate, poiché vi è venuta in bocca la coscienza, una così grossa parola, permettete ch’io vi faccia entrare in mente un magro magro pensiero. La coscienza, cioè io, qua non ci ha che vedere. Scusatemi se parlo a mò dei filosofi; ma è forse la coscienza qualcosa d’assoluto, che possa bastare a sé stessa? Se fossimo soli, forse sì. Ma allora, belli miei, non ci sarebbe coscienza. Purtroppo ci sono io e ci siete voi.
2° LETTORE Si vede che avete molto tempo da perdere
MOSCARDA No ecco. Per l’animo in cui mi trovavo. Ma del resto anche per l’ozio non nego. Ricco, due amici fidati che badavano ai miei affari, dopo la morte di mio padre che buon’anima, non era riuscito a farmi concludere niente, tranne di prender moglie, questo sì, giovanissimo
1° LETTORE Già, la moglie. Dida; quella povera donna che lo chiamava Gengè; da Vitangelo che era il suo nome aveva tratto questo nomignolo; non senza ragione, come si vedrà
DIDA Hai sentito, Gengè, cos’ha detto ieri Michelina? Guarda, Gengè, se a tenermi così la veste mi paiono le gambe…
S’è fermata la pendola, Gengè
Gengè, e la cagnolina non la porti fuori? Poi ti sporca i tappeti e la sgridi. Ma dovrà pure, povera bestiolina, no dico…non pretenderai che…non esce da iersera…
MOSCARDA E parlava, parlava, sempre…
DIDA Non temi Gengè, che Annarosa possa essere malata? Non si fa più vedere da tre giorni e l’ultima volta le faceva male la gola.
Gengè, è venuto il signor Firbo. Dice che tornerà più tardi. Non potresti vederlo fuori? Dio che noioso!
COSCIENZA (a Mostarda) Se vi chiudevate in camera con due turaccioli nelle orecchie, magari non avevate a lamentarvi ora…
1° LETTORE Signori, vuol dire che voi non capite: come lui voleva esser solo…e poi aveva bisogno di uno specchio
Tutti ripetono la parola specchio
CORO Specchio, specchio, aveva bisogno di uno specchio
Per guardarsi (con movimento) fuori e dentro
Fuori e dentro
Fuori e dentro
Fuori e dentro
Fuori e dentro
Fuori e dentro
COSCIENZA Soli…essere soli…per voi signori essere soli che cosa significa?
LAURA Chiaro…restare in compagnia di sé stessi senza alcun estraneo attorno
EMANUELA Ah, vi assicuro che è un bel modo, codesto, di esser soli…vi s’apre nella memoria una cara finestrella da cui s’affaccia sorridente, fra un vaso di garofani e un altro di gelsomini, la Titti che lavora all’uncinetto una fascia rossa di lana, come quella che porta al collo quel vecchio insopportabile signor Giacomino
LAURA Ricordi…nascosti dietro alle mille finestrelle che s’aprono soltanto quando si è soli…che…cara Mimì! Eccola, eccola, ad una finestra che vi s’apre nella memoria. Sì, cari miei, vi assicuro che è un bel modo di essere soli, codesto.
CORO (verso il pubblico) Bel modo d’esser soli, codesto! Vi sembra già questo un primo segno di pazzia?
MOSCARDA Poteva già essere con me la pazzia, non nego; ma vi prego di credere che questo è l’unico modo di essere soli
LAURA Così lui voleva essere solo. Senza sé stesso, voglio dire senza quella parte di sé che egli conosceva.
VFC O che credeva di conoscere: l’estraneo inseparabile che era in sé
MOSCARDA E mi fissai d’allora in poi in questo proposito disperato: d’andare inseguendo quell’estraneo che era in me e mi sfuggiva
STEFANIA …che non potevi fermare davanti a uno specchio; quell’uno che viveva per gli altri e che tu non potevi conoscere; che gli altri vedevano vivere, e tu no.
MIRIANA Ah, caro Mostarda, credevi che fosse solo uno questo estraneo…ma ben presto il tuo atroce dramma si complicò: con la scoperta dei centomila Mostarda, tutti dentro questo tuo povero corpo che era uno, ahimè!
CORO Quando così il suo dramma si complicò iniziarono le sue incredibili pazzie.
Musica e balletto
LAURA Ognuno di noi, nel suo corpo, ospita un estraneo (rivolta al pubblico) non lo sapevate?
CORO Non lo sapevate
FAUSTA Come sopportare quest’estraneo?
MIRIANA Come non vederlo?
VFC Come non conoscerlo?
EMANUELA Come restare per sempre condannati a tenerselo addosso, alla vista di tutti e fuori dalla nostra?
Cambio luci.
MOSCARDA E dunque? Dunque, niente: questo. Se vi par poco (a questo punto tutti, tranne Moscarda, si voltano di spalle) Ecco una prima lista delle riflessioni rovinose, e delle terribili conclusioni derivate dall’innocente, momentaneo piacere che Dida, mia moglie, aveva voluto prendersi: dico, farmi notare che il naso mi pendeva verso destra.
LAURA Che io non ero per gli altri quel che finora avevo creduto d’essere per me
EMANUELA Che non potevo vedermi vivere
ISABEL Che non potendo vedermi vivere, restavo estraneo a me stesso, cioè uno che gli altri potevano vedere e conoscere; ciascuno a modo suo; e io no
MOSCARDA In conclusione, cominciai finalmente a capire perché Dida, mia moglie mi chiamava…
DIDA …Gengè
TUTTI Gengè
Musica. Tutti, tranne Moscarda scendono in sala.
Contemporaneamente si illumina a poco a poco il manichino.